Seguo l’ ordine.
Poiché sono io.
Il suo disordine.
Autoconvocato
Quando ho conosciuto Silvio Berlusconi. Aveva vinto le elezioni. Nel 1994. Io non lo conoscevo prima. Io ero un delegato sindacale. Ero nel Consiglio di Fabbrica. Per la Fiom. Nella mia fabbrica. Ero stato eletto nel 1987. Andavo alle riunioni dei miei capi. I miei capi avevano paura. Di Silvio Berlusconi. Io volevo fare uno sciopero generale. Ma i miei capi ascoltavano. E non mi rispondevano. Era il 1994. Settembre. Il governo di Silvio Berlusconi. Voleva fare la riforma delle pensioni. I miei capi ascoltavano. E non gli rispondevano. Io andavo alle riunioni. Dai miei capi. I miei capi, mi lasciavano parlare. Alle assemblee, a Bologna. Era settembre. Del 1994. Passavano i giorni. Passarono. I giorni. Poi, arrivarono, i giorni. Io e Dante, che era nel Consiglio di Fabbrica, con me. E a Bologna. A Torino. A Milano. E in altri posti, che non conosco. Ma che c’erano. Cominciarono a fare gli scioperi. Senza i capi. Io e Dante. E altri compagni delegati. Di altre fabbriche, del mio paese. Ci organizzammo. E scendemmo con i nostri compagni, di fabbrica. Sulla via Emilia. Facemmo sciopero in almeno cinquecento. E ci mettemmo in mezzo alla via Emilia. Perché nel mio paese. C’è la via Emilia. Io mi ricordo, di un ragazzo che lavorava alla Calderini. Mi voleva bene. Era un gigante. Poi c’era un incrocio. Tra la via Emilia. Un autobus doveva passare. Noi eravamo in mezzo alla via Emilia. Allora, l’autista spense l’ autobus. E scioperò insieme a noi. Perché noi, non avevamo capi. E c’erano altre fabbriche. La Sinudyne. La Fev. La Malaguti. L’ Orem. L’ Eurodent. Allora arrivò ladigos. Gli elicotteri, volavano sopra. La via Emilia. I capi, ci sono sempre. Ma noi, non avevamo paura. Gli scioperi durarono tre giorni. E ci trovavamo sulla via Emilia. Nel mio paese. La sera i telegiornali. Quelli seri. Parlavano di autoconvocati. Allora il sindacato proclamò lo sciopero generale. Ma io gliel’avevo già detto. Allora il governo di Silvio Berlusconi. Cadde. Poi, non ho capito. Mi chiamavano autoconvocato. Ma non ci fu un governo normale. Fecero un governo tecnico. Quel ragazzo, gigante, che mi voleva bene. Morì in un incidente. In moto. Io sono uno che fa fatica. A capire. I capi erano di nuovo là. Si chiamavano in un altro modo. E fecero la riforma delle pensioni. Io non lo so cosa vuole dire autoconvocato. Ma forse ho capito. Quando devo alzarmi la mattina. Io mi autoconvoco. Quando devo farmi la barba. Io mi autoconvoco. Quando devo incazzarmi. Io mi autoconvoco. Adesso mi guardo le mani. Chiuse. Dentro. Ci trovo, la polvere degli anni. Noi siamo maledetti. Ci è rimasta la polvere. I capi. Non mi rispondono. Non rispondono. Delle loro azioni. I capi. Ci saranno sempre. Perché noi siamo maledetti. Ancora adesso. Io mi autoconvoco. Quando devo amare. Ma non so più ascoltare.
20 settembre 2010
Giuliano Bugani
operaio, giornalista, poeta
I bambini a Termini Imerese
Piangono. Ho visto uno di loro. Tra le braccia di sua madre. Kon le labbra krocifisse al dispiacere. E gli occhi. Piangevano silenziosi. Nascosti tra i capelli di sua madre. E tuo padre? Dov’ è tuo padre? Gli ho kiesto. Il bambino alza il braccio verso un tetto. E c’erano lassù altri padri. Oltre al suo. Grazie Markionne. Grazie di kuesto bambino. Grazie di kuesti padri. Grazie di questi occhi di bambini. Grazie Markionne. Grazie di questo futuro. Grazie di kuesti giorni. Grazie anke ai tuoi. Di bambini. I tuoi bambini non piangono mai. I bambini di Markionne non sanno piangere. I bambini di Markionne sanno strillare invidia. I bambini di Markionne sanno strillare di noia. I bambini di Markionne sanno strillare di rikkezza. I bambini di Markionne sanno strillare. E basta kosì. I bambini a Termini Imerese piangono di nascosto. Tra i capelli delle madri. Le madri aspettano i padri. I padri sono in lotta. I bambini a Termini Imerese percepiscono il pericolo. I bambini a Termini Imerese non capiscono. Ma sanno tutto. I bambini a Termini Imerese intuiscono il dispiacere. I bambini a Termini Imerese non sanno strillare. Nascondono gli occhi. I bambini a Termini Imerese sanno la dignità. Sono solo bambini. Ma sanno questo. I tuoi bambini, Markionne, non sanno kuesto. Allora guardo sul tetto. Dove i padri hanno dignità per i propri figli. Tu Markionne, non hai tutto kuesto. I padri verranno kolti da malore. Ma resistono. Ritornano sul tetto. E le madri stringono i figli. Grazie Markionne. Ti stringo forte ank’io. Fino alla morte. Fino alla fine di kuesti giorni. Grazie a tutti kuelli kome te, Markionne. Grazie per il futuro ke ci lasci. Grazie Markionne, per il freddo di questi rikordi. Ke ci sarà un futuro. Un inferno su un tetto. Anke per te. Guardo in alto. Vedo lavoratori e padri. Pensano ai figli, di nascosto piangono. Non so se piangere è skonfitta. Ma io sto kon gli skonfitti.
24 gennaio 2010
Giuliano Bugani
operaio, giornalista, poeta
I lupi
( Vorrei ci fosse ancora Ivan Graziani, ‘ I lupi ‘ , 1977 )
I lupi. Arrivano. I lupi. Arrivano, la notte. Questa notte. I lupi. Per te. Presidente. Questa notte. Sentirai. I lupi. Orde. Branchi. Sterminati. Lupi. Attraverso, la bruma. Di notte. Questa notte. Nera. Per te. Presidente. Per le tue camice. Nere. Hai paura? Dei lupi. Loro, non lo sanno. Loro, non sanno, dell’ uno. Né dell’ altro. Arrivano, stanotte. Non si conoscono. Ma sono uniti. Uno all’altro. Loro, non lo sanno. Cos’è la notte. Tu lo sai. E’ per questo. Arrivano, i lupi. Trascinano, un carro. Dietro, il branco. C’è un carro. Ha ruote, di legno. Corde, di storia. Attorno, al collo. Non sanno. Ma trascinano. Sopra, il carro. C’è un patibolo. Per te. Presidente. Per la tua, giugulare. I lupi. Hanno feritoie, nella bocca. Hanno ferite. Hanno cicatrici. Orde, di lupi. A zanne aperte. Ferite. Per tue scelte. Scegli la notte. Arrivano. I lupi. Passeranno, le Alpi. Gli Appennini. Il mare. Da Ustica. A te. Fino a notte. Rosso. Mare Mediterraneo. Ustica. Moby Prince. Capaci. Tieni il segreto. Fino a notte. Sterminati, lupi. Ignari. Gli uni, degli altri. Trascinano, un secondo carro. Dietro l’ orda. C’è un carro. Ha ruote, di ossa. Tendini. Tesi. Conficcati, nelle zampe. Ignari. L’ uno dell’altro. Sopra, il carro. C’ è una croce. Per te. Presidente. Croce deserta. Cristo ha paura. Cristo. Non si è fermato. A Eboli. Cristo, è a Ustica. A Capaci. Nuova Marzabotto. Non chiedere a Cristo. I lupi. Fanno paura. Orde. Branchi. Determinati. C’è sangue. Sui sentieri. Della tua storia. Sentono odore. I lupi. Stanotte. Spalanca il cancello. Presidente. Arrivano, i lupi. Ignari. Non sanno. Degli altri. Ma sono uniti. Per sempre. Istinto. Occhi affilati. Denti appuntiti. Ti stringeranno. Le mani. Sulla croce. Spalanca, la carotide. E squarcia. La camicia. Infetta. Non hanno paura. Non hanno futuro. Non hanno presente. Hanno solo passato. Orde di lupi. Stanno arrivando. Trascinano, un terzo carro. Dietro, sterminati. C’ è un carro. Ha ruote, di aghi. Bave di storia. Scendono, da lingue. Ma trascinano. Sopra , il carro. Un cranio. Dietro, il branco. Arrivano. I lupi. Stanotte. Hai paura. Odore, di merda. La tua faccia. Stanotte. Staccata, dalla vertebra. I lupi. Non sono presente. Non sono futuro. I lupi. Sono il passato. Per mio Paese. Domani. Vedo il passato. Sul carro. Sei tu. Presidente. Di questo Paese. Un tumore. Estirpato.
29 ottobre 2010
Giuliano Bugani
operaio, giornalista, poeta
I piloti non devono morire
( a Arin Mirkin, Ceylan Ozalp, Fatam Yokumer, Avesta e a tutte le partigiane kurde che combattono a Kobane)
Korrono. Su piste di arakidi umane. I piloti. Formula Uno. Suzuka. Giappone. 5 ottobre 2014. Guano mediatiko propone eroi. Jules Bianki è morto. No. Non è morto. Korrono informazioni importanti. Vitali. Per mia vita di poko sapore. Sniffo piste di Formula Uno. Non morite. Gridano cellule cerebrolesi. Mie cellule. Korrono. Su piste perikolose. Informazioni. Partigiane kurde. Korrono. Lontane. Da stupri etnici. Mie cellule. Cerebrolesi. Kiedono informazioni. Jules è morto? Korrono piloti. Su piste di vite nostre. Piloti di nostre vite. Non morite. I piloti non devono morire. Unika strada possibile. Io dentro karri funebri. Un karro funebre per Jules Bianki. Guano mediatiko insiste. In mie cellule. Cerebrolesi. Korre guano. Mediatiko. Paddok sotto shock. Bianki contro safety kar. Korri Arin. Kombatti Arin. Jules non è morto. Piloti gridano al fuoko. Korri Arin. Jules sopravvive. I piloti non devono morire. Tu si. Korri Arin. Kobane ti aspetta. Korri. Karri funebri. Sotterrano piloti donne. Kurde kombattenti. Su piste di kokaina. Intralciano il traffiko. Kobane. Kaliffato CIA. Korri Arin. Poi so ke morirai. Aggrappata al suicidio kamikaze. Korri Arin. I piloti non devono morire. Petrolio per Suzuka. Spremono arakidi. Burokrati occidentali. Premono grilletti bankari. Esce sangue. Da mie cellule cerebrolesi. Mestruazioni psikopatike. Genero mostri. Guano in mio kranio. Piste di mediatike deformazioni. Kontroinformazioni. Kurdistan. Kombattente Ceylan. Diciannove anni. Konosci Jules Bianki? Safety kar kontro kasko. Stato islamiko. Genera informazioni a Suzuka. Ora io pilota. Di me stesso. Un passo. Non korro. Non ho mai korso. Mie cellule cerebrolesi. Da guano mediatiko. Ma ora io pilota. Ceylan suicida. Kombattente kurda. Dicembre 2014. Kome Ceylan. Kome Arin. Kome Fatam. Kome altre piloti. Di nuove piste. Per mie strade. Ora io pilota. Kurdistan apripista. Kurdistan aprepista. Nuove demokrazie. Genera kombattenti. Genera piloti. Per nuove piste. Ora noi piloti. Kombattenti kurde. Suicide. Kamikaze. Ma mai più. Piloti non devono morire. Io cerko nuove piste. Armate.
3 gennaio 2015
Giuliano Bugani
operaio, giornalista, poeta
Papillon
( lettera di una Costituzione condannata a morte)
Cari genitori, cari figli, un’ ultima lettera. Dal carcere, Da questo carcere, di Senato. Di Camera. Ardente. Mia carta, ardente. Carta che brucia. Mia lettera di carta, tra loro mani. Ardenti. Verrò fucilata, domani. All’ alba del giorno. Niente è potuto cambiare. Io non potevo cambiare. Verrò fucilata, prima di ogni cosa. Che cosa, è servito? A cosa, sono servita? Vi chiedo di perdonarmi. Qui si chiude, vita mia. Ascolto parole. Ascolto silenzi. Dissensi. Non ho avuto processo. Per me, solo condanna, militare. Processo da nuovo Kadorna. Condanna esemplare. Camera allestita. Karro funebre nel cranio. Verrò fucilata. Mirate alla verità. Che non emerga inganno. Vostro potere. Camera investita, di potere. Mirate democratica morte. Eutanasia forzata. Ultima lettera, poi si muore. Nessuno ha combattuto. Per me, nessuno ha gridato. Cari genitori. Cari figli. E’ tardi. Cosa ne sarà di voi? E’ tardi. Non gridate ora. Io muoio. Forse sono morta da tempo. Domani verrò fucilata. Di ciò che resta. Il mio processo. Farsa. Domani. Io camminerò, verso plotoni, armati. Io camminerò, per quel che resta. Da calpestare. Loro merda. Carta su merda. Io, Papillon. Mirate a lealtà. Loro kolonia penale. Su questo crinale, di speranze. Su questo valico, senza futuro. Solo merda. Letamaio Senato. Letamaio Camera. Urinatoio Presidente. E’ tardi. Poi si muore. Non è guerra. Molto di più. Ma tardi su tardi, vi scrivo. Quando leggerete questa mia, sarò tra banchi di niente. Una scuola perduta. Banchi senza carta. Banchi di merda. Una letamaia di vita. Per quelli che verranno. Cattivi Presidi. Cattivi Presidenti. Per quanto ancora? Chissà, forse fino a Rivoluzione. Allora sì. Allora sì, che Papillon sa volare. Ma quanto passerà? Quanti, come me? Cari genitori, cari figli, Resistete. Verrò fucilata, domani, la notte. Hanno paura. Niente più all’alba del giorno. Che nessuno deve vedere. Alla luce di fari, spareranno. Nel petto. Volano, le falene. Cari genitori, cari figli, se le cose andranno male. Vi ho sempre amato. Devo andare. Devo essere fucilata. La vostra Papillon.
30 maggio 2010
Giuliano Bugani
operaio, giornalista, poeta